Cassazione Penale, Sez. 4, 29 aprile 2015, n. 18040 – Caduta letale a seguito della rottura di una trave inidonea a sostenere il peso di una persona e del materiale. Responsabilità di un coordinatore per la sicurezza

Infortunio mortale di un lavoratore precipitato al suolo da un’altezza di circa sei metri a causa del crollo di un piano di lavoro aggiuntivo dell’opera provvisionale in impalcato prospiciente l’immobile su cui lo stesso stazionava, a cagione della rottura di una delle due travi con cui era stata costruita la piattaforma stessa, in quanto non idonea a reggere il peso di una persona e del materiale.

Dall’esame delle specifiche prescrizioni – in concreto disattese – del piano di sicurezza e di coordinamento redatto dallo stesso imputato era emersa la dimostrazione della sua responsabilità – alla luce della posizione di garanzia assunta in qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori durante la progettazione e la realizzazione dell’opera – per la violazione delle specifiche prescrizioni cautelari menzionate nel capo di imputazione, conseguenti all’omessa vigilanza nell’esecuzione dei lavori ed all’omessa sorveglianza nel corso della realizzazione dell’opera provvisionale preordinata a consentire lo scarico delle carriole colme di malta cementizia, sollevate dalla gru ai piani superiori del fabbricato in corso di ristrutturazione. Tra i rischi previsti dal piano era espressamente contemplato quello di caduta dall’alto ” da scongiurare, per ogni tipo di mansione prevista (carpentiere, muratore,ferraiolo,ecc.) esclusivamente con imbracatura anticaduta ” invero non adottata nel caso di specie. Nella costruzione dei ponteggi era altresì vietato dal piano di sicurezza l’impiego di ” pannelli per casseformi “, in legno, in realtà risultati utilizzati nel cantiere in luogo delle travi di maggior spessore come tali proporzionate a sostenere pesi di maggiore entità. Ancora detto piano imponeva l’obbligo di sorveglianza dei preposti durante le operazioni di montaggio e di smontaggio del ponteggio, da eseguirsi da personale informato dei rischi specifici e dotato di “adeguati dispositivi di protezione individuale anticaduta “.


Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: VITELLI CASELLA LUCA Data Udienza: 01/07/2014

Fatto

Il 4 giugno 2002, in Albisola Superiore ( Savona ), l’operaio D.A.,dipendente della ditta “E. s.r.l.” impegnata nella ristrutturazione di uno stabile sito in via Omissis, trovava la morte precipitando al suolo da un’altezza di circa sei metri a causa del crollo di un piano di lavoro aggiuntivo dell’opera provvisionale in impalcato prospiciente l’immobile su cui lo stesso stazionava, a cagione della rottura di una delle due travi con cui era stata costruita la piattaforma stessa, in quanto non idonee a reggere il peso di una persona e del materiale; ciò, mentre era intento a trasferire malta e mattoni necessari alla costruzione di una spalletta al secondo piano del fabbricato. Con sentenza 26 novembre 2008, il Tribunale di Savona, per quanto in questa sede rileva, dichiarò corresponsabile del delitto di cui agli artt. 113,589 commi 1 e 2 , 40 commi 1 e 2 cod. pen., il geom. M.E. che, nella veste di coordinatore per l’esecuzione dei lavori durante la progettazione e la realizzazione dell’opera, aveva contribuito a cagionare l’evento versando in colpa generica ed in colpa specifica. L’imputato, in particolare, non aveva adibito un preposto alla sorveglianza delle operazioni di montaggio dell’impalcato di servizio realizzato: ciò in violazione degli artt. 17 e 77 lett. a) d.P.R. n.164 del 1956. Aveva omesso di verificare, durante la realizzazione dell’opera provvisionale, la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Né, in violazione degli artt. 5, comma 1° lett. a) e 21, comma 2° lett.a) del D.l.vo n. 494 del 1996, aveva disposto la sospensione, in caso di pericolo grave ed imminente, delle singole lavorazioni fino alla comunicazione scritta degli avvenuti adeguamenti ad opera della impresa interessata. Per l’effetto il Tribunale condannò l’imputato, in solido con R.P. ( non ricorrente ), anche al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili,liquidati in euro 71.913,00 per ciascuno dei genitori ed in euro 18.868,00 per ciascuno dei fratelli non conviventi con la vittima.
La Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado,dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato,per essere il reato estinto per maturata prescrizione,confermando nel resto le statuizioni civili. Ricorre per cassazione il M.E. per tramite del difensore articolando quattro distinti motivi di annullamento, così riassunti.
In primo luogo, denunzia la difesa vizi della motivazione in ordine alla ritenuta inattendibilità di tutti i testimoni per avere essi reso, quali dipendenti della ditta datrice di lavoro anche della vittima, dichiarazioni compiacenti volte ad addossare la responsabilità dell’evento al collega deceduto nonché quanto alla tesi dell’inverosimiglianza del fatto che questi potesse aver costruito di sua iniziativa la piattaforma – rivelatasi fatale – il primo giorno di lavoro, come invece comprovato dalle prove testimoniali espletate.
Con il secondo motivo si duole il ricorrente della carenza di motivazione della sentenza in ordine alle asserite violazioni degli obblighi incombenti sul coordinatore per la sicurezza, le cui funzioni non ne imponevano la presenza costante in cantiere.
Circa l’accusa di non aver adibito un preposto alle operazioni di montaggio dell’impalcato di servizio, lamenta il ricorrente, con la terza censura, che tale obbligo non incombeva al M.E., ma al datore di lavoro che peraltro a tanto aveva già provveduto nominando R.P..
Con l’ultimo motivo, denunzia il difensore che la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 578 cod. proc. pen.,limitandosi a confermare le statuizioni risarcitone della sentenza impugnata, senza verificare il legame parentale che legava le varie parti civili al fine di determinare specificamente i valori monetari delle somme loro riconosciute a titolo di ristoro.

Diritto

Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con ogni conseguente effetto a carico del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen.
Osserva preliminarmente il Collegio che, in applicazione dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n.35490 del 28 maggio 2009 – dep. 15 settembre 2009 – imp. Tettamanti ), all’accoglimento dei primi TRE MOTIVI di ricorso (da trattarsi congiuntamente,concernendo essi il tema della responsabilità dell’imputato ) potrebbe unicamente pervenirsi ove si accerti la ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte dall’art. 129 cpv. cod. proc. pen.: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente, sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e di ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 codice di rito, l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo. In sostanza la prova “evidente” dovrebbe emergere “positivamente; ictu oculi; in esito ad un procedimento di mera constatazione e non di apprezzamento valutativo delle risultanze probatorie già acquisite ” , come testualmente stabilito dalle Sezioni Unite.
Nella concreta fattispecie, nella sentenza della Corte distrettuale non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei ad integrare la prova evidente dell’innocenza del M.E., ma sono, anzi, contenute valutazioni di segno diametralmente opposto, logicamente conducenti all’accertamento della responsabilità di costui. Non sono pertanto ravvisabili i vizi motivazionali denunziati dal ricorrente. Avuto riguardo al testo della sentenza impugnata,deve affermarsi che la Corte distrettuale ha proceduto ad analizzare, mediante la rivisitazione della sentenza di primo grado e grazie al richiamo alle congrue ed appropriate valutazioni critiche del materiale probatorio in punto al giudizio di inattendibilità dei testi indotti dall’imputato, gli aspetti concernenti le problematiche relative alla ricostruzione dell’accaduto ed all’antefatto, giungendo alla conclusione – ineccepibile sul piano della logica e della comune esperienza – che doveva escludersi che l’operaio ( poi deceduto ) avesse potuto assumere l’iniziativa di costruire la piattaforma in legno ( il cui crollo ne determinò la morte per precipitazione ) il primo giorno di lavoro. Ed ha altresì condiviso le valutazioni dal Giudice di prime cure con cui sono state disattese le tesi difensive, infondatamente prospettate dall’imputato M.E. che ” si trovò nell’impossibilità di intervenire , poiché la piattaforma in questione fu costruita, durante la sua assenza, quella stessa mattina “. Tanto aveva trovato conferma nella compiacente (ed inattendibile) testimonianza resa dall’archi. E.S., progettista dei lavori che, recatasi in cantiere la stessa mattina dell’infortunio alle ore 8,00 circa in sostituzione del M.E., non vide l’impalcatura in legno de qua. Dall’esame delle specifiche prescrizioni – in concreto disattese – del piano di sicurezza e di coordinamento redatto dallo stesso M.E. era emersa la dimostrazione della responsabilità dell’imputato – investito di specifica posizione di garanzia in ragione del ruolo contrattualmente assunto di coordinatore per l’esecuzione dei lavori durante la progettazione e la realizzazione dell’opera -per la violazione delle specifiche prescrizioni cautelari menzionate nel capo di imputazione, conseguenti all’omessa vigilanza nell’esecuzione dei lavori ed all’omessa sorveglianza nel corso della realizzazione dell’opera provvisionale preordinata a consentire lo scarico delle carriole colme di malta cementizia, sollevate dalla gru ai piani superiori del fabbricato in corso di ristrutturazione. Tra i rischi previsti dal piano era espressamente contemplato quello di caduta dall’alto ” da scongiurare, per ogni tipo di mansione prevista ( carpentiere, muratore,ferraiolo,ecc.) esclusivamente con imbracatura anticaduta ” invero non adottata nel caso di specie. Nella costruzione dei ponteggi era altresì vietato dal piano di sicurezza l’impiego di ” pannelli per casseformì “, in legno, in realtà risultati utilizzati nel cantiere in luogo delle travi di maggior spessore come tali proporzionate a sostenere pesi di maggiore entità. Ancora detto piano imponeva l’obbligo di sorveglianza dei preposti durante le operazioni di montaggio e di smontaggio del ponteggio, da eseguirsi da personale informato dei rischi specifici e dotato di “adeguati dispositivi di protezione individuale anticaduta “. Le dichiarazioni rese dal teste Omissis ( dipendente di una ditta diversa dalla E. s.r.l.) e dal gruista Omissis avevano consentito di accertare che durante l’intera mattinata del giorno in cui si verificò l’incidente, gli operai ebbero ad utilizzare il ponteggio de quo. Il punto in cui si spezzò la trave portante ( causa della precipitazione letale del D.A. ) corrispondeva a quello in cui venivano collocate le pesanti carriole ( sollevate dalla gru ) e ritirate dalla vittima per esser poi scaricate all’interno del corrispondente piano dell’edificio. Ciò – come opportunamente evidenziato dalla Corte d’appello -valeva, da un lato, a smentire la tesi difensiva della predisposizione della piattaforma, quella stessa mattina, in esecuzione di un’ iniziativa estemporanea della vittima e, dall’altro, ulteriormente comprovava la negligenza ed il disinteresse dell’imputato che, anche in violazione degli artt. 17 e 77 d.P.R. n. 164/1956, mancò, nei giorni precedenti, di vigilare, opportunamente coordinando il personale specializzato addetto, sulla realizzazione della piattaforma in legno de qua (rivelatasi indispensabile per far giungere ai piani superiori del fabbricato la malta cementizia, sollevata da terra all’interno delle carriole, da impiegare nello svolgimento dei lavori di ristrutturazione appaltati) in ottemperanza alle previsioni antinfortunistiche del piano di sicurezza, da lui stesso redatto.
Quanto fin qui esposto conduce altresì alla reiezione del proposto ricorso anche agli effetti dell’art. 578 cod. proc. pen., avendo la Corte d’appello del tutto correttamente confermato le statuizioni civili in uno con la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. La stessa Corte distrettuale ha altresì ineccepibilmente ribadito, ad onta delle infondate obiezioni dedotte dal ricorrente con il QUARTO motivo di annullamento, la sussistenza della legittimazione attiva, in capo anche ai genitori ed ai fratelli e sorelle del congiunto deceduto, costituitisi parti civili, anche agli effetti della richiesta di risarcimento del danno morale, in ragione dello stretto legame di parentela, ferma l’uniformità di trattamento nella liquidazione del quantum garantita dal richiamo dei relativi criteri seguiti dal Tribunale di Milano.

P Q M

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, lì 1 luglio 2014.

 

(Fonte: OLYMPUS – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro)

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